Gennaio 2024 – Abigor

 

Lo avevamo persino preventivato e i più attenti non avranno dunque alcun bisogno di noi affinché venga loro, or ora, più opportunamente segnalato, ma occorre dirsi a chiare lettere nella sua più opportuna sede che il 2024 è partito a dir poco a cannone. Il nuovo riepilogo mensile che oggi ci guida attraverso il meglio della prima sfornata di questo anno appena cominciato lo dimostra nel tramite del solito numero quattro di ottimi full-length regolarmente ascoltati da noi durante questi primi trentuno (e a ben vedere molti più) giorni, nonché conseguentemente selezionati per voi che siete tra i più audaci e intrepidi esploratori degli anfratti di musica oscura.
Alcuni nomi sono decisamente previsti, altri attesissimi; altri ancora, molto meno. Non che infatti Abigor o Inquisition possano né quantomeno debbano essere entità granché oscure (nel mero e solo senso di ignotum) a chi bazzica queste sonorità; anzi, si potrebbe a ragione dichiarare vero proprio il contrario, considerati i rispettivi status, ma dei Vemod dai quali nessuna nuova musica è pervenuta all’ascolto per oltre dieci anni, rimandando all’infinito l’appuntamento fatidico con il proprio secondo album (o ancor di più i debuttanti Boarhammer, che ci salutano sorprendenti in chiusura), ad esempio, non possono certo essere definiti la sensazione più chiacchierata o patinata che il genere abbia offerto in tempi recenti. È con ciò detto che quindi il consueto nonché sempre e ricercatamente eterogeneo mischione di veterani e novità, tutti uniti nel solo segno delle note novelle di altissima fattura e del buio che ci si porta dentro, viene aperto dal campione di gennaio: niente di meno che il trepidamente anticipato “Taphonomia Aeternitatis” del trio austriaco più amato di sempre su queste pagine. L’eccezionalità del nuovo album targato Abigor, sottotitolato “Gesänge Im Leichenlicht Der Welt”, si commenta seriamente da sola fin dal primissimo ascolto ma crescendo e riconfermandosi sempre più alta di volta in volta. Prima di usare le nostre, di parole, rubiamo perciò quelle trovate proferite dai sodali del gruppo nei ranghi della stimata Norma Evangelium Diaboli, solitamente parchi di complimenti riferiti ad alcunchì (almeno quanto siamo noi restii nel riportare ed impiegare parole d’altri), secondo cui “[a]ttempting to describe it would have me quickly exhaust all laudatory adjectives, so I will simply say this: if you’re not listening to it right now, you’re missing out on something spectacular. Abigor are kings; no one else comes close”. E se ve lo dicono loro, ancor prima di noi…

 

 

Proprio vero che ogni lode finisce per essere esaurita quando si parla degli Abigor; in particolar modo di ogni loro nuovo album dall’uscita di “Leytmotif Luzifer” in poi. E non è a caso che si menziona proprio l’importante opera del 2014: in un certo senso, “Taphonomia Aeternitatis è il coronamento di tutto (e più di) quel che la band ha sperimentato ed evoluto come in un sogno lucido tra quel disco, “Höllenzwang” e “Totschläger”, creando ancora qualcosa di ancora nuovo, immediatamente forte nello spirito delle atmosfere finissime a nome “Nedxxx” e dello spettacolare collaborativo del 2017. Quel che si va trovando lungo l’ascolto dell’album che è “Gesänge Im Leichenlicht Der Welt” è d’altronde impossibile da mettere in parole: un’esperienza unica al mondo che passa dalle sfaccettature trionfali del già capolavoro assoluto “Forniotrs Weltenreise” all’ultraviolenza crudele e disumana di una “Extermination Angel”, ammaliando con l’immediato e raffinatissimo melodicismo astrale di “Burning Hell” e dando il colpo di grazia di eclettismo estremo e sfavillante in “Morning Star Anthropophagia”. Tutto il resto passa e va, ma gli Abigor, sovrani assoluti, no: la loro musica è capace da trent’anni di fermare il tempo e riattivarlo a piacimento, compiendo un miracolo che forse nessun altro ha mai portato a termine con una tale completezza d’intenti e determinazione nell’intero genere.”

“Arrestare per un istante la ruota del tempo, rendendo insensata la percezione e la concezione stessa di quell’istante; afferrarne le antinomie, gli archetipi, e al contempo cercare fra tutte quelle rovine le pagliuzze auree di un significato, ripercorrendo e setacciando fra sabbia e cenere memorie e simboli racchiusi in trenta anni da artisti e in secoli di esistenza umana. Gli Abigor scavano a fondo, scompaginano un’altra volta tutto quanto in favore di una nuova visione fatale: l’incedere dall’estro solivagante ed estroso di “Fractal Possession” e “Time Is The Sulphur In The Veins Of The Saint” viene filtrato dalla cruciale parentesi Nedxxx; una teatralità drammatica che mischia la distopia alla perdizione, dove le forme plastiche di un’inesistente forma canzone sacrificata sull’altare dell’eclettismo luciferino combattono con i profili ieratici e totalitari dei monumenti eretti dai profeti dell’eterno ritorno palingenetico. Una visione ormai indubbiamente illuminata che li porta a scarnificare nuovamente lo spazio del suono in favore di una narrazione per atti dalla sconfinata potenza individuale e dalla maestosa visione d’insieme; inevitabilmente “Taphonomia Aeternitatis – Gesänge Im Leichenlicht Der Welt”, così come è stato “Totschläger” alcuni anni fa, è un disco che battezza nel fuoco e nel ghiaccio un’intera carriera, dialogando e risuonando con quello zeitgeist artistico sempre gravitante attorno agli austriaci, e che si staglia così quale potenziale caposaldo della formazione e di tutto un certo tipo di Black Metal: imprescindibile opera d’arte totale.”

Nonostante le trenta primavere di carriera siano ormai passate dai primi nastri del trio, l’ultima fatica degli Abigor si manifesta ancora una volta come un faro nel panorama del Metal estremo. Probabilmente una delle pochissime band -se non l’unica- in grado di portare questo sound così zanzaroso ma allo stesso tempo saturo che, all’incredibile alba del quattordicesimo disco ufficiale, continua ad essere il perfetto accompagnamento ad una componente melodica, teatrale e demoniaca che invece marcia ogni volta verso l’assoluta perfezione. “Taphonomia Aeternitatis – Gesänge Im Leichenlicht Der Welt” è sempre connesso da un filo conduttore con i suoi predecessori, ma esattamente come era già successo con “Totschläger”, qui troviamo un ulteriore miglioramento a livello compositivo e di struttura della tracklist. Se la selezione di up-tempo rispetto a ritmiche più lente non necessitava già ormai più di particolari upgrade, ciò che spicca oggi supremo è il modo in cui tutti i diversi stili vocali si manifestano uno dopo l’altro rendendo ancor più completo un lavoro che viaggia sul filo dell’eccellenza. Come già dissi in un commento passato, siamo di fronte ad un disco fuori dal comune – uno che solamente gli Abigor sarebbero in grado di produrre, rendendoli di diritto la mia seconda personalità artistica austriaca preferita di sempre. Dopo Mozart, ovviamente.”

“Talmente avanti da ritornare indietro, o magari addirittura il contrario: se da una parte è stato notevolmente ridimensionato tutto il coté epicheggiante che aveva reso il predecessore “Totschläger” una dichiarazione d’amore alla maligna causa come se ne sentono seriamente poche nel genere, va comunque apprezzato il modo in cui l’ultimo nato in casa Abigor abbia aggirato il rischio di risultare troppo cerebrale mantenendone ciononostante i magnetici tratti esteriori, il cui fascino basato proprio su ghirigori e barocchismi difficilmente potrà mai passare inosservato. La voce diabolicamente versatile di Silenius, le tentacolari chitarre in cui convergono esecuzione tecnica Black Metal, camaleontica scrittura ai limiti del Prog e sintetiche sonorità di stampo Industrial sono indicatori del sinistro trasformismo di una formazione che gioca alle sue sole regole, elevando a potenza le stratificazioni strumentali e vocali in modo da appestare l’aria con fraseggi e dissonanze che possono soltanto essere provenienti dall’altra sponda dell’Acheronte.”

Chi non è stato assolutamente da meno lungo il corso di gennaio, ovvero gli Inquisition di “Veneration Of Medieval Mysticism And Cosmological Violence”, fuori per Agonia Records come riprova del successo artistico del precedente “Black Mass For A Mass Grave”. Non semplice pareva proseguire da un simile punto discografico, e non certo per le trite ragioni extra-musicali di cui chiunque con un briciolo di sale in zucca pare ormai essersi fortunatamente stufato… Eppure…

“Eccellente nuovo capitolo del duo statunitense: eccellente proprio nel far convolare a nozze l’eplorazione squisita del suo predecessore, vale a dirsi tutta quella psichedelia cosmica ed elegantemente melodica, con le possibilità creative che anche il loro lato più grezzo, quello più crudo, meno atmosferico e più acido pertiene. “Veneration Of Medieval Mysticism And Cosmological Violence” è proprio questo: il disco No Colours che non tradisce l’esplorazione stellare di “Black Mass For A Mass Grave”, bensì la impiega verso nuovi obiettivi e traguardi senza paragoni in fatto d’incisività, differenziazione in fatto di ariose aperture (tra canti di gola e scintillanti cascate di luce in mezzo al tiro generale) e immediatezza. Ascoltare per credere: gli Inquisition più passano i dischi e più diventano una creatura totalmente unica nel proprio panorama. Mai un passo indietro.”

“Se con lo scorrere degli anni gli Inquisition hanno coi fatti più volte messo a tacere quelle voci che sembravano relegarli a band refrattaria al cambiamento, l’idea di un progetto immacolato e puro nel suo essere conservato in una campana di vetro non è nemmeno totalmente errata: nell’universo in perpetua evoluzione di Dagon e Incubus, gli stimoli sembrano infatti provenire sempre dall’interno come risultato di azione e reazione, in un vortice di immagini, idee e soluzioni ogni volta rielaborazione caleidoscopica ma perfettamente coerente di quel mondo mistico e brutale. Così gli sprazzi acidi e gli acuti melodici si esaltano e diventano la prima chiave di lettura dei tredici brani, tutti mediamente brevi come durata ma dotati di una personalità forse mai prima d’ora così netta e distinguibile all’interno di un unico full-length: la varietà pittorica dei sintetizzatori e le svirgolate mistiche dal gusto epico che sovrastano il dogma del brano costruito riff-by-riff, in un approccio che estremizza i bagliori di “Black Mass For A Mass Grave”, rendendoli ancor più affilati e taglienti ove compaiono, conficcandoli sul tappeto ritmico ruvido e gorgogliante. Tanto orecchiabile quanto superbamente costruito, “Veneration Of Medieval Mysticism And Cosmological Violence” è dunque un inestimabile gioiello iridescente che potrebbe conquistare anche chi non ha percorso passo dopo passo le gesta del progetto.”

“Col senno di poi, un lavoro monumentale sotto tutti gli aspetti quale era stato nel 2020 “Black Mass For A Mass Grave” avrebbe avuto un vero significato soltanto come capitolo a sé in un percorso di costante miglioramento, invece di una blueprint per dei seguiti dal fascino inevitabilmente calante; consci di ciò -e forse persino stimolati dal graduale riprendere della loro un tempo infaticabile attività live-, gli Inquisition tirano su un follow-up che pare quasi la scaletta di una loro esibizione dal vivo, con frammenti delle melodie lunatiche estratte dal predecessore adesso calati nel muro di riff articolati e ritmiche di nuovo viaggianti come concepite dal duo, intento a recuperare l’impeto di marca No Colours degli ultimi anni ‘00. Chi avrà il piacere di assistere al ritorno in Italia dell’istituzione nordamericana il prossimo aprile potrà confermare o smentire questa sensazione; mentre chiunque capiti a tiro di questo album avrà una volta ancora di fronte a sé il ritratto di un’entità dall’estro creativo inesauribile. Anche e soprattutto dopo oltre cinque lustri di trionfi, cadute ed assoluta grandezza artistica.”

Uno dei ritorni più attesi degli ultimi anni – o almeno, uno dei più lungamente attesi, pari in ciò solo al bellissimo “Vor Uns Das Feuer, Über Uns Der Himmel” dei Wolfhetan che l’ha preceduto di giusto un mese. Il secondo disco dei norvegesi Vemod dal Nord-Trøndelag, “The Deepening”, è il loro tanto agognato debutto per Prophecy, finalmente fuori dopo il fulmine a ciel sereno “Venter På Stormene” che li ha resi, dal fortunato 2012, già un nome classico tra i moderni nel Black atmosferico e più dilatato.

Va da sé che farsi attendere dodici anni da un successo di debutto qual è stato il primo full-length dei Vemod non sia stata esattamente la mossa più commercialmente furba possibile (né quella che una Prophecy Productions firmante il trio, se la memoria non inganna, già attorno al 2016 per un seguito, si sarebbe presumibilnente auspicata) – ma, considerati invece gli esiti superbamente incuranti di “The Deepening”, si può scandire a chiare lettere come sia stata negli ascoltabili fatti anche la decisione più artisticamente appropriata e fruttuosa. Tutto quel che il gruppo ha seminato nel primo disco fa infatti loro raccogliere qui i più creativi frutti: ravvivati, raffinati, rifiniti e fluidissimi nell’inanellare melodie rigonfie di un’atmosfera tra il sognante, il malinconico e l’anelante una spiritualità ultraterrena nel contatto con tutto ciò che più grande di noi è. Andando molto più in profondità di “Venter På Stormene”, raggiungendo nuovi picchi emotivi nel continuo contrappuntare di basso lo scavare greve delle chitarre, rendendosi infinitamente luminosi ed eterei come un’alba, nonostante una produzione inaspettatamente più concreta che trova un punto d’incontro in un tutto nordico ed eccelso dialogo tra “Spiritual Instinct”, “Elizium”, Viides Luku: Hävitetty”, “Jord Och Aska” ed “Oathbearer”. Chi non ha bisogno di farsi listare gli autori di questi dischi sa già che si tratta, a dir poco, di un successo annunciato.”

“I nembi elettrostatici di “Venter På Stormene” si diradano sulle distese umide e sfumate di “The Deepining”: lo spirito intimamente naturalistico figlio della Norvegia più misteriosa e frondosa di “Bergtatt” ed “Heart Of The Ages” è più solido e devoto che mai, ma l’incedere ipnotico e circolare á la Nasheim, gli incastri dal gusto progressivo e le delicate e soppesate scelte di produzione lo rendono il prezioso lavoro di una maturazione silente compiutasi in dodici lunghi anni. L’ascolto non è più prettamente esperienziale e l’immersività non si limita ad espedienti droning, ma i riverberi illuminano ed esaltano invece di celare, così come gli strumenti duettano in un’eleganza corale da camera invece di limitarsi ad un lavoro di layering. Se tanto è successo nel Black Metal atmosferico dal 2012 ad oggi, i Vemod tornano non per sconvolgerlo, ma nemmeno si professano eremiti incorrotti da tutto ciò che c’è stato; tuttavia “The Deepening” è il sopraffino compiersi definitivo del Bildungsroman del trio, il termine ultimo di un processo di crescita che sa farsi sfuggente in quanto intimo, ma che sottende un sostrato travolgente ed intensamente emozionale, che non deve essere disperso nel vortice del tempo.”

Rimaniamo con grande piacere a leggere altre parole del nostro Kirves (che zitto zitto si porta a casa un poker di commenti non da ridere) per l’ultimo consiglio di oggi, vale a dire “II: Chemognosis – A Shortcut To Mushrooms” dei Boarhammer: tedesco duo debuttante per la connazionale Naturmacht Productions con il suo frondoso primitivismo rituale fattosi Black Metal dopo il già interessante EP di tre anni or sono, l’intitolato “I: Cutting Wood For Magickal Purposes”.

“Se non siete fra quelli che avevano abboccato alla versione boschiva dei Malokarpatan, quegli Stangarigel che di sostanza ne avevano tutto sommato molto poca, qui potrebbe esserci pane per i vostri denti. L’altare marcescente e psichedelico di muffa ed escrescenze fungine che svetta sulla copertina di “II: Chemognosis – A Shortcut To Mushrooms” è un bel biglietto da visita denotativo e sincero da parte della coppia di musicisti tedeschi, che architetta una formula molto ammaliante ed emanazione pittorica dei Cultes Des Ghoules che interpretano “The Undeground Resistence” nel bel mezzo di una foresta sì incantata ma corrotta, una in cui il male e la perdizione hanno trionfato sul bene. Lo spirito arrembante e vintage non prende mai il sopravvento sull’oscurità maligna del Black Metal, con un approccio tendente al lo-fi e alla crudezza sonora in cui però suoni e verve tipicamente Heavy sono sfruttati intelligentemente e le voci infervorate e possedute scandiscono alla perfezione le scorribande dei Boarhammer, in grado fin dal debutto di tracciare uno stile per niente banale, ricco di chiaroscuri e dalla grande potenza visiva.”

Per il resto – gli annunci fioccano e le uscite attese si impilano: alcune già ascoltabili, altre per cui ci sarà invece da aspettare ancora un po’. Ma l’indugiare e l’aspettativa sono davvero parte del piacere quando ad accompagnarle abbiamo dischi grandi come i quattro che scopriamo o riscopriamo oggi – anche e sfortunatamente al momento senza l’EP that should have been, cioè le “Livre II” di un certo nostro affezionato francesino [qui] sortira à la fin de ce mois [EDIT: uscito proprio ieri] (retards dûs à l’usine).
Dunque, questa volta, in assenza di ulteriori illustri proposte in chiusura, per il momento non ci resta che dirci arrivederci e buon ascolto – almeno fino al prossimo recap tra qualche settimana, dedicandoci a febbraio…

 

Matteo “Theo” Damiani

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